
Quando si parla di disturbi alimentari spesso si pensa all’anoressia, alla bulimia e al binge eating ma si sente parlare poco di “fissazioni” alimentari che portano a vivere con disagio il rapporto con il cibo.
Avete mai sentito parlare di “Ortoressia”?
Non è stata ancora pienamente riconosciuta come patologia alimentare nell'ultima versione del DSM V (Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ma dietro ad essa sono comunque presenti molte difficoltà.
In particolare il rapporto con il cibo viene vissuto in modo ossessivo, soprattutto quello considerato “sano”.
L’ortoressia è difficile a volte da diagnosticare poiché i soggetti traggono inizialmente un vantaggio da questo tipo di attenzione “Mangio bene, mi sento in forma e mi vedo meglio” con il relativo sostegno e riconoscimento delle persone che sono accanto "Ti trovo meglio!".
Fin qui tutto bene.
Ma quando un aspetto sano e funzionale rischia di trasformarsi in patologia? Quando cambia il bisogno alla base.
Se mangiar bene si fonda su un bisogno di cura, di attenzione e di coccola verso di sé, allora è un vissuto funzionale e propositivo;
Se mangiar bene cela un bisogno di controllo, un’imposizione interna e un dovere che alimenta frustrazione e senso di colpa se non viene eseguito, allora può sfociare in un disagio più importante.
Ci sono altri aspetti che mi possono informare su questo?
Si, il pensiero dell’attività fisica. Esattamente come detto poco sopra, anche in questo caso è il bisogno che fa la differenza (“faccio sport per ritagliarmi uno spazio e prendermi cura di me o perché devo farlo secondo ciò che prevede la tabella di marcia?”)
L’ortoressia spesso porta i soggetti ad escludersi e ad evitare situazioni sociali, atteggiamento comune ad altri disturbi alimentari, in cui le persone sentono di non avere il controllo su ciò che si mangia.
Al gusto del cibo si sostituiscono rigore e rigidità.
Perché accade?
Le motivazioni possono essere diverse ma le fissazioni sono strategie che possono avere tra gli obiettivi (spesso inconsapevoli) la negazione e l'evitamento rispetto a vissuti emotivi più profondi.
Se riconoscete di avere questo tipo di funzionamento provate a chiedervi "Se il pensiero del cibo è il primo del mattino e l’ultimo della sera a cosa mi "serve?", "Se non ci fosse, a cosa penserei?" e infine "Mi è davvero così funzionale tutto questo?"
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